RUGGINE

*1996*

 

La ruggine, pur sembrando un lavoro diverso e a sé stante, è, per certi versi, la continuazione e il compimento del tema già iniziato con la serie dedicata ai muri; la parte che sviluppa ulteriormente il problema relativo non solo al linguaggio ed alla codificazione della registrazione nell’inconscio, ma, soprattutto, all'essenza stessa del soggetto come sublimazione dell'esistenza. Non rappresenta soltanto la corruttibilità del linguaggio ed il disfacimento dell’inconscio, ma anche la degenerazione della sostanzaintesa come ritorno al magma originario dal quale rinasce la vita; l'accostamento con il ferro, il metallo "forte" per antonomasia, è proprio quello più indicato a rendere un'idea così complessa come quella dell'esistenza che, benché “idealmente forte”, infine, è vinta.

Il colore stesso del ferro che è buio, impenetrabile, e che invece, lentamente e inesorabilmente, si trasforma  gradatamente in un colore rossiccio, in certi punti vivissimo, definisce meglio di ogni altro artificio la trasformazione, la metamorfosi che esso subisce. Parrebbe una contraddizione ed invece non lo è, non lo è mai stata. La concezione della morte che le nostre culture occidentali ci hanno tramandato, con la loro religione e la loro filosofia, è ancora troppo legata all'antropocentrismo; la morte dell'uomo non è la fine della vita.

Ma il senso delle immagini presentate non è soltanto in questa considerazione, seppure determinante; chi osserva queste immagini, e vuole intenderle, deve far ricorso ad una particolare sensibilità, quella sensibilità che, privilegio di pochi, lascia libera di correre la fantasia inibita dei sognatori e la scioglie affrancata per permetterle di vagare incontrollata dentro quel singolare laboratorio che è il nostro inconscio.

Ruggine
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Ruggine
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Roland Barthes   Ciò che la fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più ripetersi esistenzialmente.

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